Il Samurai, antico guerriero giapponese esperto nelle arti marziali, è entrato a far parte dell’immaginario comune quale simbolo di virtù belliche e morali.
La storia di questa figura, per certi versi assimilabile a quella del cavaliere medievale europeo, risale a un’epoca particolarmente travagliata per tutto l’Oriente antico. Agli inizi del X secolo carestie e conflitti resero il Governo Giapponese Centrale incapace di garantire la sicurezza: per questo i Nobili costituirono propri eserciti composti da Samurai (dal verbo “saburau”, ossia “servire”). Dal XII secolo i Samurai o Bushì (guerrieri) divennero una delle caste più elevate della piramide sociale. Coloro che ne facevano parte seguivano un codice di comportamento chiamato “Bushidò”(via del guerriero) basato sull’Onore in battaglia e nella vita quotidiana e che disciplinava anche i rapporti con il capo e gli altri membri del clan. I Samurai usavano portare una grande spada affilatissima chiamata “Katana” ed una più piccola detta “Wachizashi”. La katana era utilizzata per affrontare il nemico mentre la seconda per togliersi la vita in caso di cattura. Era il celebre Hara-Kiri (che significa “taglio del ventre”) ossia il suicidio rituale cui spesso si sottoponevano i Samurai per dimostrare, con un gesto estremo, il loro coraggio e Onore. Più noto presso i nipponici come “Seppuku”, l’hara-kiri era un cerimoniale codificato con estrema cura secondo regole precise e traeva origine dalla convinzione che il ventre fosse la sede dell’anima.
Saggezza, valore, coraggio, compostezza hanno contribuito all’ideale del guerriero perfetto: un’ideale che oggi continua a vivere nelle Arti Marziali tradizionali i cui principi cardine sono disciplina, autocontrollo, meditazione, grande concentrazione e perfezione nei movimenti ottenuta con impegno e costante allenamento. Ecco il segreto che i venerati Maestri delle arti marziali quali Judo, Karate, Ju-Jitsu, Aikido hanno divulgato hai loro allievi dal tempo dei Bushi sino ai giorni nostri. Tali discipline nascono per elevare lo spirito fortificando il corpo e la mente: la pratica del kata (forma) del randori (pratica) e dello shiai (combattimento) sono anche espressione del rispetto dell’uomo. Basta osservare i rituali sul Tatami, il saluto dell’avversario, la riverenza al vincitore e la stima per lo sconfitto. In epoca moderna si può essere indotti a commemorare gli antichi guerrieri Samurai e i loro rituali ma niente di più. La riflessione potrebbe sembrare priva d’interesse: ma è lecito dimenticare i paradigmi tramandati dai valorosi guerrieri che piuttosto che essere ricordati con disonore preferivano togliersi la vita? Gli eventi a cui spesso assistiamo nel mondo contemporaneo, sempre più raramente fanno riferimento al rispetto, alla lealtà tra esseri umani. Il concetto dell’Onore nell’epoca moderna ha forse perduto l’essenza che per tanti secoli ha caratterizzato l’uomo e la sua cultura?
E’ concetto palese comunque che sopravvivano solo alcuni stereotipi, come quello che esista ancora una sorta di “valore dell’Onore” in specifiche popolazioni, ad esempio, in alcune aree territoriali nella cultura mediterranea (italiani, spagnoli, arabi, ecc.), orientale, nel “profondo sud degli Stati Uniti” o ancora in qualche organizzazione fortemente militarizzata o altresì malavitosa, spesso raggruppata in gang.
Le recenti generazioni sono avulse da questo significato poiché non trovano vicinanza a concetti quali la Patria, senso di appartenenza ad una Nazione o ad alleanze tra Stati e il fermo riconoscimento delle origini della propria stirpe. Anzi l’Onore è percepito come una limitazione o addirittura una debolezza mentale in un mondo globale, dove la tecnologia e la comunicazione interattiva sembrano aver abbattuto ogni barriera facendoci sentire quasi apolidi.
La riflessione sul “giusto o sbagliato” nell’allontanare il paradigma dell’Onore dall’esistenza umana, moralmente parlando, deve essere ricondotto alla personale coscienza, alla propria indole; sicuramente, dal punto di vista antropologico culturale, sarebbe almeno un peccato veniale non riconoscere un dignitoso pilastro al principio dell’Onore, come valore sociale, intensa regola comportamentale che in epoche passate talvolta è scaturita in sacrifici umani consumati per difendere questo valore.
Dott. David Roggi