Effetti dell’esercizio fisico sulla densità ossea

L’osteoporosi è una condizione associata ad un aumentato rischio di fratture a causa della riduzione della densità minerale ossea. In un precedente studio abbiamo osservato che la maggior parte delle pazienti con postura flessa presenta osteoporosi. Tuttavia la gravità della postura flessa non si associava a valori minori di densità minerale ossea a livello del rachide o dell’anca. Viceversa una minore densità minerale ossea si associava al numero delle fratture vertebrali. Veniva concluso che l’osteoporosi non è la causa primaria della postura flessa come riportato da alcuni studi in letteratura. Verosimilmente la degenerazione dei dischi intervertebrali e la debolezza muscolare giocano un ruolo fondamentale.
Sebbene non sia causata dall’osteoporosi, la postura flessa può tuttavia facilitare la comparsa di fratture vertebrali quando la struttura ossea è indebolita. Il mal allineamento del rachide infatti, altera il carico sui corpi vertebrali causando le deformazioni vertebrali tipiche. C’è un generale consenso in letteratura che tra le strategie per la prevenzione delle fratture nelle donne in età post-menopausale, l’esercizio fisico può giocare un ruolo importante. Lo scopo di questo studio è quello di valutare l’efficacia di un programma di attività fisica adattata, finalizzato alla correzione della postura flessa, nel migliorare la densità minerale ossea del rachide lombare e del femore prossimale.
Sono state studiate 67 donne di età compresa tra 68 e 93 anni con postura flessa, capaci di stare in piedi e camminare autonomamente, senza decadimento cognitivo (MMSE >24), senza significative alterazioni degli arti inferiori e del sistema nervoso centrale e controindicazioni cardiocircolatorie all’esercizio fisico.
Le partecipanti sono state valutate prima e dopo 12 mesi. Nell’intervallo tra le due valutazioni a tutte le pazienti è stato offerto un programma di attività fisica finalizzato alla correzione della postura flessa. Delle 67 pazienti 36 hanno avuto una frequenza di partecipazione >91% delle sedute di esercizio (partecipazione alta), 20 hanno avuto una partecipazione tra 41% e 90% delle sedute (partecipazione media) e 11 una partecipazione.
INTRODUZIONE
La postura
Allineamento posturale
La postura è data dalle relazioni angolari tra i vari segmenti del corpo e tra i segmenti corporei e l’ambiente. Tale concetto non deve essere confuso con quello di posizione che, invece, si riferisce al rapporto del corpo nel suo insieme rispetto allo spazio.
La postura eretta “ideale” si ha quando i segmenti corporei sono allineati verticalmente e la linea di gravità passa attraverso gli assi articolari (Norkin e Lavangie, 1992). Il normale allineamento corporeo non permette il mantenimento di una postura ideale, ma è comunque possibile ottenerne una il più vicina possibile a quella ideale. Nella postura eretta “ottimale” la linea di gravità cade vicino, ma non passa attraverso i principali assi articolari. I segmenti corporei sono quasi verticali, le forze di compressione sono distribuite in modo ottimale sulla superficie di carico delle articolazioni e non vi sono eccessive tensioni sui legamenti e sui muscoli. Anche se, nella statica eretta “ottimale” una certa resistenza alla forza di gravità è data dalla tensione legamentosa passiva, è comunque richiesta una minima attività muscolare. Nella postura ottimale le articolazioni degli arti inferiori assumono una precisa posizione rispetto ad una linea ideale che rappresenta l’azione della forza di gravità.
A) Caviglia
Nella postura eretta ideale la caviglia si trova in posizione neutra, ovvero all’incirca a metà tra flessione dorsale e flessione plantare del piede. La linea di gravità passa anteriormente al malleolo.
Questa posizione della linea di gravità genera un momento dorsiflessorio, che non è possibile controbilanciare per mezzo di strutture ligamentose, poiché la caviglia e’ in posizione neutra (Norkin e Lavangie, 1992). Pertanto è necessaria un’attività pressoché continua dei muscoli plantaflessori, soleo e gastrocnemio, per prevenire il movimento in avanti della tibia (Basmajian, 1978). Una modesta attività è stata anche riscontrata nei muscoli peronei, tibiale anteriore e posteriore, che pur avendo azione dorsiflessoria, sembrano determinare una certa stabilità del piede in senso trasversale in risposta alle oscillazioni del corpo (Basmajian, 1978).
B) Ginocchio
A livello del ginocchio, la posizione anteriore della linea di gravità rispetto all’asse di rotazione genera un momento estensorio. La tensione passiva nella parte posteriore della capsula articolare e dei legamenti associati è sufficiente per bilanciare il momento gravitazionale e prevenire l’iperestensione (Norkin e Lavangie, 1992). Poca o nessuna attività muscolare è richiesta per mantenere il ginocchio in estensione nella postura eretta ottimale. Tuttavia può essere registrata una piccola attività muscolare sia a livello del bicipite femorale, che del soleo, il quale attraverso una trazione in senso posteriore della tibia può aumentare il momento estensorio a livello del ginocchio (Basmajian, 1978).
C) Anca
Durante la postura eretta l’articolazione dell’anca è mantenuta in una posizione neutra, intermedia tra flessione ed estensione (Norkin e Lavangie, 1992). La linea di gravità passa posteriormente all’asse di rotazione dell’anca, a livello del gran trocantere. Questo crea un momento estensorio che tende a ruotare la pelvi posteriormente sulle teste femorali (Norkin e Lavangie, 1992).
Studi elettromiografici hanno dimostrato che il muscolo ileopsoas è spesso attivo durante la stazione eretta, probabilmente per generare un momento flessorio di compenso (Basmajian, 1978). Se il momento estensorio gravitazionale a livello dell’anca potesse agire senza una controforza muscolare, l’iperestensione dell’anca verrebbe comunque bloccata dalla tensione passiva dei legamenti iliofemorali, pubofemorali e ischiofemorali. Per il mantenimento della postura eretta non è pertanto necessaria l’attivazione dei muscoli ileopsoas. Tuttavia, la non attivazione di questi ultimi, sarebbe causa di una maggiore tensione nelle strutture legamentose dell’anca ed aumenterebbe (per la maggiore estensione del tronco) la grandezza dei momenti gravitazionali agenti a livello delle altre articolazioni (Norkin e Lavangie, 1992).
Sul piano frontale la linea di gravità divide il corpo in due metà simmetriche. Gli assi di rotazione di caviglia, ginocchio e anca sono equidistanti dalla linea di gravità.
Modificazioni dell’allineamento posturale
Postura flessa
Il fisiologico processo d’invecchiamento può modificare l’allineamento posturale e provocare frequentemente la postura flessa (PF). La PF è caratterizzata da cifosi dorsale, da protrusione della testa e nei casi più gravi da flessione delle ginocchia. La fisiopatologia della postura flessa non è del tutto chiara: alcuni autori attribuiscono la causa della PF a fattori neurologici, altri invece propendono per elementi muscolo scheletrici. L’ipotesi più ragionevole sembra sia un’origine multifattoriale e sicuramente due sono i fattori che giocano un ruolo fondamentale in questo processo: la disidratazione dei dischi intervertebrali e la debolezza muscolare o sarcopenia associate ad uno stile di vita sedentario.
Qualunque sia la causa, la PF porta a numerose conseguenze tra cui la distribuzione del carico sui corpi vertebrali e sulle faccette articolari (Norkin e Lavangie, 1992) che possono essere danneggiati quando la struttura ossea è indebolita dall’osteoporosi.
SCHELETRO E TESSUTO OSSEO
Lo scheletro umano è formato da 206 ossa, e si sa che nell’individuo adulto, contiene quasi il 99% di tutto il calcio presente nell’organismo (Henderson, 1995). L’osso gioca un ruolo vitale come riserva minerale e come fonte di cellule emopoietiche. Le sue maggiori funzioni sono strutturali: supporta e protegge gli organi vitali e i tessuti molli (Henderson, 1995) e provvede al lavoro interno necessario per i movimenti e per la locomozione.
Lo scheletro è formato per l’80% da osso corticale e per il 20% da osso trabecolare.
La componente corticale forma la superficie di tutte le ossa, ma è presente in misura maggiore nell’asse delle ossa lunghe. Essa consiste in sistemi di Havers, una serie di anelli concentrici di matrice ossea dura, circostanti un canale centrale. Questi, sono connessi da piccole cavità chiamate lacune che contengono osteociti. I canalicoli che connettono le lacune e il sistema di Havers permettono la circolazione delle sostanze necessarie per la nutrizione (Henderson, 1995; Woolfe e Dixon, 1988).
L’osso trabecolare, è un rigido lavoro a maglia di osso che ha un aspetto spongioso. La maglia è fatta da strutture orizzontali e verticali chiamate trabecole, queste di solito si trovano nella direzione necessaria a resistere alle forze date dal carico o dall’azione muscolare; la grandezza e l’orientamento di queste trabecole sono direttamente connesse con le forze a cui è sottoposto l’osso. La maggior parte di osso spongioso si trova nei corpi vertebrali e nelle epifisi delle ossa lunghe (Woolfe e Dixon, 1988 ).
Le cellule dell’osso sono divise in tre principali tipi e sono importanti per la sintesi e per il rimodellamento dello stesso:
1. gli osteoblasti sono le cellule deputate alla formazione dell’osso. Essi sintetizzano la matrice ossea, che è poi mineralizzata in forma di tessuto.
2. gli osteociti, sono osteoblasti maturi che si trovano sulla superficie dell’osso o dentro le lacune e si pensa partecipino alla regolazione dei livelli di calcio nelle sostanze circolanti.
3. gli osteoclasti hanno la funzione di rimodellamento assorbendo l’osso calcificato o la cartilagine con secrezioni acide (Henderson, 1995; Woolfe e Dixon, 1988).
Nell’adulto, l’osso è continuamente sottoposto a rimodellamento, necessario per riparare microfratture e per adeguare la resistenza alle variazioni meccaniche di sforzo. L’osso si adatta: quando è stressato è ipertrofico, quando non lo è atrofico (Smith, 1980).
Le due principali forze estrinseche che agiscono sull’osso, sono la forza gravitazionale e la forza muscolare. Entrambe, agiscono sulla disposizione minerale dell’osso e del collagene che determina la resistenza dell’osso per opporsi alle forze che agiscono su di esso.
Per cui, si può affermare che, l’attività fisica, svolta durante la vita può influenzare la resistenza dell’osso. Se una di queste due forze varia, l’osso si modificherà sia a livello cellulare che strutturale.
Il livello di calcio nel plasma gioca un ruolo importante nella dinamica del rimodellamento dell’osso. Tale livello è regolato dall’azione ormonale e può essere mantenuto solo con apporto di calcio attraverso la dieta o con il riassorbimento di calcio già mineralizzato.
I regolatori omeostatici di calcio sono l’ormone paratiroideo (stimola gli osteoclasti al riassorbimento dell’osso), la vitamina D (aumenta l’assorbimento di calcio dall’intestino e facilita il riassorbimento dell’osso) e la calcitonina (inibisce il riassorbimento dell’osso e protegge lo scheletro dall’azione dell’ormone paratiroideo e dalla vitamina D quando aumenta il fabbisogno di calcio) (Henderson , 1995; McArdle e Katch, 1996; Woolfe e Dixon, 1988).
Anomalie nella funzione epatica o renale, e vari tipi di tumori maligni, possono determinare perdita di osso.
Come regola generale, gli adolescenti e i giovani adulti hanno bisogno di 1200 mg di calcio al giorno e gli adulti di età superiore ai 24 anni di 800-1000 mg al giorno. Oggi, l’apporto di calcio con la dieta si pensa essere minore di quello raccomandato giornalmente. Questo ha come conseguenza un aumento dell’estrazione di calcio dalle riserve. Se non c’è equilibrio tra apporto/fabbisogno, l’osso perde la sua massa minerale e diventa fragile (McArdle e Katch, 1996).
La prevenzione è l’unico metodo efficace nell’approccio all’osteoporosi. Le strategie comunemente proposte includono la terapia sostitutiva di estrogeni, supplemento di calcio e vitamina D nella dieta, attività fisica, eliminazione di fumo e di alcool (Riggs e Melton, 1986).
La terapia sostitutiva degli ormoni è la scelta primaria per il trattamento nelle donne in età postmenopausale e negli uomini con bassi livelli di ormoni. Il trattamento farmacologico dell’osteoporosi include l’uso di anti-assorbenti (estrogeni e biofosfati) o agenti di formazione ossea (floride e PTH).
La terapia degli estrogeni nelle donne oltre a migliorare la consistenza dell’osso, riduce il rischio di malattie cardiovascolari, infezioni dell’apparato urinario, cancro alle ovaie e ictus.
Gli effetti secondari della terapia sostitutiva, quali carcinoma al seno, emorragie, emicrania, obesità, depressione, disturbi epatici o alla cistifellea, hanno destato polemiche nei confronti di questa terapia (Sinaki, 1989); è per questo motivo che altri tipi di prevenzione da affiancare alla farmacologia, quali l’esercizio fisico, meritano ulteriori ricerche.
OSTEOPOROSI
L’osteoporosi è una condizione che ha come conseguenza un aumento del rischio di fratture scheletriche dovute a una riduzione della densità del tessuto osseo (Consensus, 1991). E’ stata definita più chiaramente come un disturbo caratterizzato da una riduzione della massa ossea, un deterioramento microarchitetturale del tessuto osseo che porta ad un aumento della fragilità e ad un conseguente incremento del rischio di fratture.
Sebbene la perdita di tessuto osseo sia presente in tutti gli individui di età avanzata, non tutti raggiungono una densità minerale ossea associata ad un alto rischio di fratture e di diagnosi di osteoporosi. Questo valore dipende dal picco di densità minerale ossea (PBMD) e dalla quantità di tessuto osso perso.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO), circa il 30% delle donne in menopausa ha l’osteoporosi (Kanis, 1994; WHO, 1994). Le più comuni manifestazioni cliniche dell’osteoporosi, sono le fratture di anca, vertebre e polso. Le conseguenze delle fratture vertebrali sono meno drammatiche rispetto a quelle del femore, ma possono provocare dolore continuo alla schiena, riduzione della motilità, cifosi, riduzione della statura e difficoltà nella meccanica respiratoria. Ovviamente, le manifestazioni cliniche ed il dolore variano a seconda del tratto vertebrale interessato. Generalmente, a livello del rachide dorsale, si hanno fratture multiple a “cuneo” che con il tempo possono compromettere la dinamica respiratoria e aumentare la cifosi dorsale; a livello del rachide lombare invece, sono più frequenti le fratture da schiacciamento, che comportano una marcata limitazione funzionale e un’alterazione dell’equilibrio statico e dinamico della colonna vertebrale.
E’ stato stimato un aumento di mortalità associata alle fratture di femore del 20% (Cooper, 1993); il rischio di insorgenza di ulteriori fratture per donne di 50 anni di età può essere superiore al 60% (Cummings, 1989).
L’osteoporosi è una malattia che decorre in modo silente, tanto che la prima manifestazione può coincidere con una frattura ossea, spesso per traumi di lieve entità. La persona colpita da osteoporosi può avvertire dolore alla colonna vertebrale, oppure accorgersi di una riduzione dell’altezza o di un’inclinazione in avanti della parte superiore della schiena.
Il trofismo muscolare ed i parametri di forza e potenza subiscono un decremento marcato.
Il circolo vizioso che si crea tende a penalizzare sempre più la qualità della vita del soggetto. Le attività fisiche ed ergonomiche più impegnative vengono eliminate con una diminuzione progressiva anche delle più usuali mansioni quotidiane.
La prevenzione di fratture associate a osteoporosi dipende dall’abilità di quantificare la riduzione di massa ossea di ciascun individuo, prendendo in considerazione anche donne che non presentano sintomatologie.
La densitometria ossea è un’importante strumento che ci dà la possibilità di predire il rischio di fratture (Cummings, 1993). Studi prospettici hanno documentato che il rischio di fratture osteoporotiche durante la vita aumenta da 1,5 a 3 volte per ogni singola riduzione della deviazione standard della densità ossea (Cummings, 1993).
L’importanza dell’esercizio come intervento per la prevenzione della demineralizzazione ossea postmenopausale è un argomento controverso (Kanis, 1994).
L’alta prevalenza di fratture osteoporotiche in donne in età postmenopausale, significa che la prevenzione di questa patologia è importante.
Il costo dell’osteoporosi era stimato intorno ai 7 bilioni di dollari annuali nel 1988 (WHO, 1994). L’ospedalizzazione per qualunque tipo di frattura, specialmente dell’anca, supera questi costi ed è per questo motivo che la prevenzione è il principale fine di intervento.
BIOMECCANICA DELLE FRATTURE OSTEOPOROTICHE
L’osso, con rispetto alle altre strutture materiali è unico, poiché può ripararsi e può adattare la sua composizione in risposta a stimoli ormonali e meccanici.
Da un punto di vista meccanico le fratture osteoporotiche rappresentano un insuccesso strutturale dello scheletro nelle quali il carico applicato all’osso supera la capacità di supportarlo.
La capacità di un osso di sostenere il carico dipende principalmente dalle caratteristiche intrinseche del tessuto, dalla struttura dell’osso (grandezza, forma, e massa), e dalle condizioni specifiche del carico. E’ chiaro che entrambi i fattori riferiti, il carico applicato all’osso e la capacità di orientamento del carico, sono importanti determinanti del rischio di fratture.
La capacità meccanica intrinseca sia dell’osso corticale che trabecolare decresce drammaticamente con l’incremento dell’età sia nell’uomo che nella donna. Questi decrementi nelle competenze meccaniche, sono causati prevalentemente, dalla riduzione età-relativa della densità apparente (massa ossea per unità di volume) dell’osso trabecolare e corticale. Dal 60 al 90%, la variabilità della resistenza dell’osso trabecolare e corticale è spiegata dalla densità apparente. La relazione tra densità apparente e lunghezza dell’osso trabecolare non è lineare (Carter e Hayes, 1977; Rice et al., 1988), una diminuzione della densità apparente dell’osso trabecolare induce ad una sproporzionata riduzione della resistenza dell’osso. Una riduzione della resistenza dell’osso compresa tra il 10% ed il 40% non è spiegabile dalla diminuzione della densità, in quanto altri fattori influenzano la fragilità dello scheletro. Questi possono produrre cambiamenti nell’architettura trabecolare e nella stessa matrice del tessuto osseo. Cambiamenti architetturali, come una riduzione di spessore, del numero di elementi trabecolari e del grado con il quale essi sono interconnessi, accompagnano il declino età-correlato nella densità dell’osso.
Nel corpo vertebrale ad esempio, la sottigliezza, la perforazione e l’allineamento orizzontale degli elementi trabecolari, riducono sostanzialmente la capacità dei segmenti scheletrici di rimanere verticali e di sostenere il carico.
Mentre le caratteristiche architetturali della componente trabecolare nell’osso osteoporotico sono fortemente correlate alla densità ossea, nell’osso normale non patologico, (Compston, 1994; Goldstein et al., 1993) non è possibile determinare una chiara relazione tra la densità ossea, l’architettura, e la resistenza dell’osso. In più tra i cambiamenti età-relativi che contribuiscono all’incremento della fragilità scheletrica, si includono le alterazione dei modelli di deposizione, la mineralizzazione della stessa matrice ossea, un rimodellamento osteonale ed un accumulo di microfratture. Queste microfratture aumentano con l’età e appaiono più gravi nella donna che nell’uomo (Mori et al., 1997; Norman e Wang, 1997). Comunque, l’incremento nel rischio di fratture associate all’età e all’accumulo di microfratture, rimane controverso (Burr et al., 1997). Questi decrementi nella densità dell’osso e nelle caratteristiche meccaniche correlati all’età possono essere in parte controbilanciati dal geometrico riarrangiamento del tessuto osseo, in particolare dell’osso lungo, che aiuta a preservare l’abilità dell’osso a resistere alle forze di torsione e di curvatura.
Attualmente, la più usata misura di diagnosi di osteoporosi e prevenzione del rischio di fratture, cioè la densità minerale ossea (BMD) data dall’assorbimetria doppio fotone con raggi-X, risulta essere discutibile.
Sebbene la sua misura sia fortemente correlata con la capacità di orientamento del carico, essa è potenzialmente limitata, poiché non può misurare separatamente i comparti dell’osso trabecolare e corticale, e in più, non riflette l’architettura trabecolare o altre caratteristiche della matrice ossea che possono essere predittive del rischio di fratture. Può essere utile proporre nuove metodologie in grado di valutare in modo più accurato e preciso la resistenza dell’osso rispetto a quanto non faccia la tecnica di densitometria ossea computerizzata. La resistenza dell’osso gioca un importante ruolo nel rischio di fratture perciò, le ricerche, si sono focalizzate primariamente su metodi di prevenzione della perdita di tessuto osseo e sul modo di rendere stabile uno scheletro osteopenico. Approcci alternativi sulla prevenzione delle fratture diretti alla riduzione del carico applicato allo scheletro, sono risultati efficaci e costo-efficienti.
La relazione tra rischio di fratture dell’anca e cadute è poco chiara, e ancora meno chiara è l’interazione tra i carichi vertebrali e la fragilità scheletrica nell’eziologia delle fratture vertebrali.
C’è una chiara evidenza che le cadute giochino un ruolo importante nell’eziologia delle fratture vertebrali, in contrasto con le precedenti convinzioni che ritenevano causa di fratture vertebrali le attività di flessione della colonna e di sollevamento di carichi eccessivi (Meyers e Wilson, 1997). Le strategie di prevenzione delle fratture devono includere la prevenzione delle cadute diminuendo la gravità delle stesse e devono evitare attività che sottopongono lo scheletro a carichi eccessivi.
Per esempio, il sistema di cuscinetto del trocantere che riduce il carico applicato all’anca durante una caduta, ha dimostrato un grande potenziale per la prevenzione del rischio di fratture (Lauritzen et al., 1993).
Le ricerche più recenti hanno dimostrato che l’esercizio fisico da solo, non associato ad altri interventi preventivi, è efficace nel diminuire il rischio di cadute in soggetti anziani che presentano deficit di forza e di equilibrio (Campbell A.J. et al., 1997; Campbell A.J. et al., 1999; Robertson et al., 2001; Hauer K. et al., 2001). E’ ancora controversa invece la sua capacità di prevenzione delle cadute nella popolazione anziana generale, anche se rappresenta una componente essenziale di interventi multidimensionali finalizzati a ridurre il rischio di caduta (Feder G. et al., 2000; Gardner M. et al., 2000). Ultimamente la prevenzione delle fratture può essere meglio ottenuta con un programma di educazione finalizzato a limitare le attività ad alto rischio a cui è associato un intervento mirato di incremento di resistenza ossea e riduzione delle forze applicate allo scheletro.
PICCO DI DENSITÀ MINERALE OSSEA
Il picco di massa ossea, PBMD, rappresenta la massima capacità individuale di accumulare minerali nell’osso.
Il raggiungimento del PBMD e la minimizzazione della perdita dell’osso nell’età premenopausale sono importanti, nell’ordine, per ridurre gli effetti della perdita dell’osso nell’età postmenopausale e quindi per l’osteoporosi (Eisman et al., 1993; Henderson, 1995; Ortolani et al., 1993).
C’è ancora qualche disputa su qual’è l’età alla quale insorge il PBMD e l’età alla quale inizia la perdita dell’osso nelle diverse parti dello scheletro. Ciascuna di quest’ultime mostra una larga differenza di PBMD. Eisman et al., (1993) dichiarano che nella prima maturità il 90% delle persone ha una densità ossea che varia in media dal 20% sopra al 20% sotto dei valori normali. Questo ampio range è importante nel periodo postmenopausale perchè può accadere che la densità ossea scenda al di sotto di un valore soglia oltre il quale aumenta il rischio di frattura. Il PBMD è stato formulato per persone di età intorno a 35 anni (Halle et al., 1990; Kriska et al., 1988). Studi recenti su bambini adolescenti, nei quali l’accumulo di massa ossea nell’avambraccio è stata misurata tramite l’assorbimetria del singolo fotone, hanno mostrato una diminuzione di massa ossea tra i 18 e i 20 anni con un’accelerazione durante la pubertà. Un altro studio su donne adolescenti e adulte ha mostrato che la struttura trabecolare delle vertebre può aumentare il suo picco vicino alla fine della seconda decade, correlato con la fine della crescita longitudinale (Bonjour et al, 1993). In uno studio a sezioni crociate (Bonjour et al., 1993) su donne sane, dove tutte avevano un’adeguata assunzione di energia e calcio, è stato valutato il PBMD a 16 anni di età sia a livello femorale che lombare.
Diversi metodi di misure di densità minerale ossea di diversi segmenti scheletrici possono dare ragione alla variazione rapportata all’età con PBMD. Molti studi dicono che il PBMD è leggermente più alto nell’osso trabecolare e che questa differenza è modesta dopo che il PBMD è compiuto. Una volta che il PBMD ha raggiunto il valore tra l’attività osteoblastica e osteoclastica, lo mantiene per altri 10 anni circa. Dopo la terza decade, l’attività osteoblastica non ha valori più lunghi dell’attività osteoclastica e questo porta all’assorbimento dell’osso che a sua volta, determina una diminuzione della massa ossea. Si pensa che questa, subisca variazioni approssimative all’1% ogni anno dalla maturità alla morte della donna. In età giovanile, si ha una crescita massima del PBMD e il controllo di alcuni fattori che possono influenzarla, è importante per la prevenzione dell’osteoporosi.
FATTORI DI RISCHIO
Vari fattori di rischio possono influenzare l’osteoporosi, tra questi, alcuni agiscono sul PBMD, altri sulla perdita di osso.
Fattori che influenzano il PBMD
- Non modificabili
1. Genetici: molti studi hanno dimostrato una forte influenza genetica sul BMD con una forte correlazione tra BMD dei genitori e dei loro figli. La massa ossea tende ad essere minore nei familiari con una storia di fratture osteoporotiche. Ci sono anche differenze tra razze: i neri hanno un rischio minore di fratture dovute ad ossa più larghe, le donne anglosassoni, giapponesi e indiane hanno una larga incidenza di osteoporosi (Woolfe e Dixon, 1998).
- Modificabili
1. Nutrizione: parecchi studi hanno dimostrato che un’alta massa ossea è collegata ad un’assunzione elevata di calcio durante tutta la vita (Woolfe e Dixon, 1988). Uno studio recente mostra che la somministrazione supplementare di calcio in soggetti che hanno già valori normali non influisce sulla perdita del tessuto osseo; al contrario, è necessaria in quei soggetti che hanno una bassa entrata di calcio con l’alimentazione (Eisman et al., 1993). Una dieta ricca di calcio gioca un ruolo importante nella determinazione e nel mantenimento del PBMD.
2. Fumo di sigarette e abuso di alcool: fumo e alcool possono ridurre la massa ossea limitando l’assorbimento di calcio (McArdle et al, 1996). Un’alta assunzione di sodio e fosfati può ridurre l’accumulo di massa ossea. (Lindsay, 1987).
3. Stato ormonale: un alto livello in circolo di ormoni sessuali facilita il raggiungimento di una grande massa ossea. Più ormoni entrano in circolo nel periodo fertile, minore è il rischio di osteoporosi (Lindsay, 1987). La frequenza della lattazione, il numero di figli, l’inizio precoce del menarca e l’uso di contraccettivi orali, sono tutti associati con l’incremento della massa ossea (Woolfe e Dixon, 1988).
4. Attività fisica: il carico scheletrico, gioca un ruolo importante nella formazione dell’osso trabecolare. Molti studi su animali e uomini, mostrano effetti benefici dell’attività fisica sull’incremento della massa ossea. Kriska et al., (1988) hanno studiato un gruppo di 223 donne in età postmenopausale in Pennsylvania dal 1981 al 1986. I soggetti erano stati suddivisi in quattro gruppi di età (14-21, 22-34, 35-50 e più di 50 anni); ad ogni soggetto veniva richiesta la quantità di attività fisica svolta nella propria vita. Il gruppo tra 22-34 anni dimostra una significativa relazione tra l’attività fisica e l’area dell’osso, mentre si osservava una relazione minore con la densità. Venne considerato che il carico scheletrico, come risultato dell’attività fisica durante l’età della formazione, ha un effetto positivo sul picco di massa ossea. Uno studio di Henderson et al. (1993) esaminò la relazione tra la forza dei muscoli del tronco, l’esercizio aerobico, l’attività abituale e il BMD in 115 femmine di 18 anni sane, post-menarca. Il risultato mostra una significante relazione tra il peso del corpo, la forza dei muscoli, l’esercizio aerobico e il BMD in queste giovani donne; risultati simili sono stati ottenuti anche nelle donne più anziane pre e post menopausa. Il tipo di esercizio può influenzare la massa ossea. In altri studi, Teegarden et al., (1996) valutarono prima l’attività fisica di 204 donne tra i 18 e i 31 anni con un attività minima. Il contenuto minerale osseo e la densità minerale ossea sono state misurate in tutto il corpo, nel collo del femore, nel rachide e nel radio. Essi conclusero che, l’attività fisica svolta nelle scuole superiori, era un importante predettore della BMD al collo del femore e che un alto livello di attività durante l’adolescenza può anche migliorare il PBMD in tutto il corpo e al rachide.
Fattori che influenzano la perdita di tessuto osseo
- Non modificabili
1. Età: la perdita di osso con l’età è un normale processo fisiologico. Se è eccessiva o l’iniziale PBMD è minore rispetto a valori basali, ci può essere osteoporosi. Dagli 80 anni la massa ossea può decrescere del 30% o più.
2. Menopausa: un abbassamento dei livelli di estrogeni con l’arrivo della menopausa causa un rapido incremento della perdita ossea. Donne che hanno una menopausa precoce o ovaiectomia premenopausale hanno una significativa riduzione di massa ossea. Un ritardo nell’arrivo della menopausa è il migliore beneficio in termini di densità ossea (Woolfe e Dixon, 1988). L’abbassamento del tasso di estrogeni circolanti causa un decremento doppio nel turn over dell’osso e un minor incremento dell’osso trabecolare, variabile dal 5 al 10% per anno. La perdita di osso corticale può essere del 2% l’anno. Questa parte di osso di solito diminuisce dopo 4 – 8 anni dalla menopausa (Lindsay, 1987). La perdita di una parte di osso può essere corretta da una terapia sostitutiva con estrogeni che migliora il bilancio di calcio. Uno studio di Ortolani et al., (1993) esaminò la relazione tra la taglia del corpo, l’età e il periodo della menopausa contro la determinazione del PBMD. Essi trovarono che il tempo dall’arrivo della menopausa era un buon predettore della BMD lombare e femorale nelle donne in età postmenopausale.
- Modificabili
1. Calcio: l’apporto giornaliero di calcio richiesto nelle donne in età postmenopausa è di 1500 mg al giorno, comparati con 1000 mg al giorno nelle donne in età premenopausa. Studi hanno dimostrato che donne in età postmenopausale soffrono di malassorbimento di calcio (Woolfe e Dixon, 1988).
2. Esercizio: gli effetti sul sistema scheletrico non sono stati ancora ben definiti, probabilmente è dipeso dal fatto che cambiamenti nella densità ossea avvengono in misura minore rispetto ai cambiamenti nei sistemi muscolari e cardiovascolari. Molti studi si sono dedicati agli effetti dell’esercizio sulla massa ossea; sono sezioni crociate e la loro validità può essere discutibile. Ci sono una grossa quantità di dati che evidenziano un’influenza positiva dell’esercizio fisico sulla massa ossea (Henderson, 1995).
3. Immobilizzazione: l’immobilizzazione dovuta a fratture, paralisi, immobilizzazione volontaria porta ad atrofia da disuso con perdita di tessuto osseo, conseguenza della riduzione di carico e di attività muscolare sul sistema scheletrico. Smith dichiara infatti, che gli astronauti sul volo GEMINI VII ebbero una perdita ossea minore rispetto a quelli su GEMINI IV e V, data da un maggior consumo di cibo e programmi di esercizio isometrici/isotonici a bordo. Durante l’allettamento prolungato, l’equilibrio di calcio diminuisce con l’incremento di calcio nelle urine. L’incremento nell’escrezione di calcio è dato dall’assenza di una pressione longitudinale sull’osso lungo (Rutherford, 1990). La perdita di osso trabecolare, può essere maggiore del 4% al mese durante la fase iniziale dell’allettamento. Questa graduale demineralizzazione dopo 6 mesi di allettamento si interrompe e c’è una graduale rimineralizzazione alla fine dell’immobilizzazione (Woolfe e Dixon, 1988).
OSTEOPOROSI ED ESERCIZIO FISICO
Alcuni studi hanno esaminato la relazione tra la forza muscolare e la BMD. Uno studio a sezione crociata di Sinaki et al., (1988) esamina la relazione tra BMD del rachide lombare, forza degli estensori lunghi ed il livello generale di attività fisica in un gruppo di 68 donne sane in età postmenopausale. Probabilmente il maggiore effetto deformante dell’osteoporosi è causato a livello del rachide da fratture dei corpi vertebrali e dalla risultante perdita di altezza e della cifosi toraco-lombare. Questo studio ha cercato di determinare: lo stato di attività fisica generale delle donne incluse, la forza dei muscoli estensori del rachide ed il livello di BMD al rachide, dimostrando una correlazione positiva tra BMD del rachide lombare e la forza degli estensori. Essi poi postularono che una parte della perdita di tessuto osseo nei corpi vertebrali può essere rallentata da un incremento nella forza dei muscoli estensori della schiena. Un interessante studio ha comparato la porzione di osso perso nelle donne in età postmenopausale in un allenamento di un arto verso l’arto controlaterale non allenato. Si è visto che questo effetto sul decremento della perdita dell’osso con esercizi di rafforzamento è abbastanza specifico, con un maggior beneficio delle strutture circostanti: per esempio l’esercizio di resistenza può essere diretto a quei gruppi muscolari che esercitano la loro azione sui distretti potenzialmente a rischio di fratture (Henderson, 1995).
Halle et al., (1990), in uno studio di 56 donne postmenopausa di età tra i 38 e i 73 anni, dimostrò che le contrazioni (a 20 deg/sec) eccentriche/concentriche, isometriche e isocinetiche producono un torque ai muscoli del tronco che è correlato con il BMD del rachide lombare e del femore prossimale. La correlazione era più alta per i muscoli estensori del tronco che per i flessori.
Alti livelli di attività cardio-respiratorio sono stati associati con la riduzione della perdita di tessuto osseo. Uno studio di Chow et al., (1986) esamina il livello di attività in donne tra i 50 e i 59 anni. Il loro livello di attività era determinato dal calcolo del loro VO2 massimo attraverso un test di performance del cammino massimale. Essi mostrarono una correlazione positiva tra il VO2 max e il contenuto minerale osseo del tronco e del femore prossimale.
Chow et al., (1987) condussero uno studio di 48 donne postmenopausa tra i 50 e i 62 anni per esaminare gli effetti di due programmi di esercizi sulla massa ossea. I soggetti erano divisi in tre gruppi: un gruppo di controllo, un gruppo che praticava solo esercizi aerobici e un gruppo con un programma di esercizi aerobici e di rafforzamento. Dopo un anno entrambi i gruppi di esercizi mostrarono un livello di adattamento più alto e un aumento della massa ossea rispetto al gruppo di controllo. Non c’erano significanti differenze tra i due gruppi di esercizio.
Dalsky et al., (1988) ha anche dimostrato che il contenuto minerale osseo lombare incrementa con esercizi di carico e che questo incremento è mantenuto con l’esercizio a lungo termine. Con la fine dell’esercizio, la massa ossea torna ai valori base, valutati sempre con un adeguato apporto di calcio nella dieta. Pocock et al., (1986) aggiunse a questi risultati la presentazione del primo dato che dimostrava una correlazione positiva tra esercizio fisico e massa ossea al collo del femore.
Uno studio di Bloomfield et al., (1993) ha esaminato gli effetti degli esercizi non di carico sulla BMD del rachide lombare in 14 donne sane in età postmenopausale. Sette donne si esercitavano regolarmente dal 60% all’80% della frequenza cardiaca massima per 8 mesi sul cicloergometro. Queste donne, mostrano un significante incremento nel BMD del rachide lombare comparato al gruppo di controllo. Questo effetto, era dato dall’attività della muscolatura a livello della colonna lombare. Ernst (1994) in uno studio riporta che camminando 11 Km a settimana non si diminuisce la BMD; al contrario, la BMD può essere aumentata, ma soltanto quando viene fatta superare la soglia anaerobica (Hatori et al., 1993).
Donne che partecipano ad un programma normale di nuoto, non mostrano una differenza significativa nella massa dell’osso rispetto a quelle che non nuotano (Orwoll et al., 1989). E’ stato ipotizzato che queste differenze siano dovute al fatto che i nuotatori svolgono la loro attività in assenza di carico (Sowers et al., 1993). In generale, le attività in assenza di carico come il nuoto, non incrementano, anzi possono diminuire la densità ossea. Esercizi fisicamente impegnativi, come la corsa, il canottaggio, e il salire e scendere le scale producono un aumento della BMD del 5.2% dopo 9 mesi. Alekel et al., (1995) trovò che le donne che partecipavano ad un programma di attività fisica costante ad intensità moderata, avevano una BMD più alta rispetto a quelle che non si esercitavano regolarmente. Ricerche su animali hanno mostrato che mentre esercizi d’intensità medio bassa hanno effetti sulla BMD, esercizi ad alta intensità possono attualmente compromettere lo sviluppo dell’osso (Drinkwater, 1995).
Altri studi hanno esaminato l’efficacia dell’esercizio nel prevenire la riduzione della massa minerale ossea nelle donne in età postmenopausale, determinando se l’esercizio fisico rallenta la perdita di tessuto osseo. Questi includevano donne sane in età postmenopausale tra i 45 e i 70 anni selezionate secondo criteri di idoneità precedentemente stabiliti ed identificati come adeguati al miglioramento sia della capacità aerobica che della lunghezza muscolare e confrontati con un trattamento standard (es. attività abituali o placebo con o senza assunzione di farmaci). Risultati d’interesse includono la densità minerale ossea e il numero di fratture a 1 e a 2 anni dal periodo di controllo. La densità minerale ossea è stata misurata tramite l’assorbimetria del fotone singolo, l’assorbimetria del doppio fotone, QCT o assorbimetria doppio fotone con raggi X ai valori basali e a intervalli di 1 o 2 anni. La percentuale della perdita dell’osso o l’attuale parte di osso perso (in grammi per centimetro, 2 o 3 cm) fu misurata dopo i primi due anni. Tutti i risultati furono convertiti in percentuale di BMD per anno. La differenza tra la percentuale persa nel gruppo di esercizio e la percentuale persa nel gruppo di controllo fu usata come la misura dell’effetto, riunendola in un database. Per identificare la tipologia di esercizio, la ricerca letteraria fu condotta dal 1966 al gennaio del 2000 secondo la strategia di ricerca sensibile RCTs (Randomised controlled trials) designato dal Cochrane Collaboration (Dickersin, 1994, Haynes, 1994). Abbiamo ricercato Medline, Embase, Healt star Sport Discus, Cinahl, Cochrane Controlled Trials Register, PEDro, il registro specializzato del Cochrane Musculoskeletal Group usando le liste di riferimento di prove incluse furono ricercate e i contenuti furono usati per altri studi e database. Tutti i trial sono stati riportati come punteggio finale (significato e deviazione standard delle variabili di controllo comparabili a quelli iniziali). La meta analisi è stata facilitata da REVMAN4.1, usando le statistiche come descritto sotto. Le principali differenze stimate tra le variabili sono state calcolate usando un modello fissato ed i risultati sono stati misurati con scale standard. Un modello ad effetti randomizzati è stato usato per un ulteriore analisi dei risultati eterogenei (PSCOPO DELLO STUDIO
L’osteoporosi è una condizione associata ad un aumentato rischio di fratture a causa della riduzione della densità minerale ossea. In un precedente studio abbiamo osservato che la maggior parte delle pazienti con postura flessa presenta osteoporosi (Balzini et al., 2003). Tuttavia la gravità della postura flessa non si associava a valori minori di densità minerale ossea a livello del rachide o dell’anca. Viceversa una minore densità minerale ossea si associava al numero delle fratture vertebrali. Veniva concluso che l’osteoporosi non è la causa primaria della postura flessa come riportato da alcuni studi in letteratura. Verosimilmente la degenerazione dei dischi intervertebrali e la debolezza muscolare giocano un ruolo fondamentale (Norkin e Lavangie, 1992).
Sebbene non sia causata dall’osteoporosi, la postura flessa può tuttavia facilitare la comparsa di fratture vertebrali quando la struttura ossea è indebolita (Sinaki, 1998; Norkin e Lavangie, 1992). Il malallineamento del rachide infatti, altera il carico sui corpi vertebrali causando le deformazioni vertebrali tipiche.
C’è un generale consenso in letteratura che tra le strategie per la prevenzione delle fratture nelle donne in età postmenopausale, l’esercizio fisico può giocare un ruolo importante. Una recente Cochrane review ha preso in considerazione 18 studi randomizzati e controllati che hanno valutato l’effetto di programmi di esercizio aerobico, con carico o contro resistenza (Bonaiuti et al., 2003). Questi studi hanno mostrato un modesto ma significativo aumento percentuale della massa ossea del rachide lombare. Altri studi hanno dimostrato che il cammino aumenta di valori percentualmente simili la massa ossea non solo del rachide, ma anche dell’anca. Lo scopo di questo studio è quello di valutare l’efficacia di un programma di attività fisica adattata, finalizzato alla correzione della postura flessa, nel migliorare la densità minerale ossea del rachide lombare e del femore prossimale.
SOGGETTI E METODO
Sono state studiate donne di età compresa tra 68 e 93 anni con postura flessa, capaci di stare in piedi e camminare autonomamente, senza decadimento cognitivo (MMSE >24) (Folstein et al., 1975), senza significative alterazioni degli arti inferiori e del sistema nervoso centrale e controindicazioni cardiocircolatorie all’esercizio fisico. Lo studio è stato approvato dal Comitato Etico dell’INRCA. Tutte le partecipanti hanno dato per scritto il loro consenso informato.
Sono state reclutate 78 donne. Di queste 67 sono state valutate prima e dopo 12 mesi. Le altre 11 non sono state rivalutate per le seguenti ragioni: 6 per rifiuto, 3 per la comparsa di eventi catastrofici che hanno modificato il loro stato di salute (infarto miocardio, ictus cerebrale; carcinoma della mammella) e 2 per eventi clinici reversibili che hanno causato una prolungata immobilità (frattura polso, episodio febbrile prolungato). Durante i 12 mesi, tra le due valutazioni a tutte le pazienti è stato offerto un programma di attività fisica (vedi dopo) finalizzato alla correzione della postura flessa. Delle 67 pazienti che hanno completato entrambe le valutazioni, 36 hanno avuto una frequenza di partecipazione >91% delle sedute di esercizio (partecipazione alta), 20 hanno avuto una partecipazione tra 41% e 90% delle sedute (partecipazione media) e 11 una partecipazione La valutazione clinica multidimensionale
La distanza occipite muro è stata utilizzata per valutare la gravità della postura flessa (vedi dopo ad “analisi statistica”). Era misurata (cm) con le pazienti con i talloni a contatto con la parete, i ginocchi i più estesi possibile e la testa in posizione naturale (Balzini et al., 2003).
La funzione cognitiva è stata valutata con il Mini Mental State Examination (Folstein et al., 1975). Il Comorbidity Severity Index della Cumulative Illness Rating Scale (Miller et al., 1992) era utilizzato per valutare lo stato di salute fisica.
La fragilità ossea era valutata per mezzo del Rx del rachide toracico e lombare (Kiel, 1995). Sulla base dei criteri del National Osteoporosis Foundation Working Group on Vertebral Fractures , la sede ed il numero delle fratture vertebrali venivano valutati da Rx del rachide in toto in proiezione medio-laterale e antero-posteriore (Johnston et al., 1995). La densità minerale ossea (g/cm2) era quantificata dalle misure ottenute con la densitometria ossea a doppio fotone (dual-energy X-ray absorptiometry, DEXA, Expert-XL Imaging Densitometer, Lunar, Madison, WI, USA) a livello del rachide lombare e a livello della parte prossimale del femore (Johnston et al., 1995). Per il rachide lombare è stata considerata la media delle misure da L1 a L4. Le vertebre fratturate non erano considerate nel calcolo della densità minerale ossea del rachide lombare. Per densità del femore prossimale destro abbiamo considerato la media delle misure effettuate a livello del collo, del gran trocantere e del triangolo di Ward. Il numero di deviazioni standard dal valore medio della densità minerale ossea dai valori di riferimento di una popolazione giovane di donne caucasiche (25-30 anni) era inoltre calcolato per ciascuna sede di misura. Successivamente, era calcolato il T-score medio per il rachide lombare e per il femore prossimale destro. Per valutare le modificazioni della massa ossea tra le due valutazioni abbiamo considerato per ciascun soggetto: a) la differenza assoluta tra i valori a dodici mesi e i valori basali, e b) la differenza pesata, cioè la percentuale di cambiamento rispetto ai valori basali.
Con le scale visuo-analogiche (Huskisson et al., 1976) è stata valutata la presenza di dolore nelle seguenti regioni del corpo: rachide cervicale, rachide toracico, rachide lombare.
La funzione motoria è stata valutata con il Performance Oriented Mobility Assessment o test di Tinetti (Tinetti e Ginter, 1988). Questo test è composto da una scala dell’equilibrio e da una del cammino. Il test dell’equilibrio include compiti statici e dinamici e sollecitazioni meccaniche. Il test del cammino include numerose osservazioni fatte dall’esaminatore camminando accanto al soggetto.
La disabilità era valutata per mezzo dell’indice di Barthel (Mahoney e Barthel, 1965) e del Nottingham Extended Activities of Daily Living Index (Lincoln e Gladman, 1992). L’indice di Barthel fornisce un punteggio basato sulla valutazione delle attività di base della vita quotidiana (alimentazione, igiene personale, uso del gabinetto continenza urinaria e fecale, cammino, salire le scale). La Nottingham Extended Activities of Daily Living Index esplora attività più avanzate della vita quotidiana in quattro sezioni: mobilità, cucina, attività domestiche, attività di svago.
Programma di esercizio fisico
Il protocollo degli esercizi è derivato da quanto proposto dalla Dr.ssa Sinaki (Sinaki, 1995) e prevede i seguenti esercizi svolti con una frequenza trisettimanale nei primi tre mesi e bisettimanale nei successivi:
1. Seduto su una sedia, schiena diritta e mani dietro la nuca: inspirare spingendo i gomiti indietro (adducendo le scapole) ed espirare avvicinando i gomiti davanti al viso (abducendo le scapole).
2. Seduto su una sedia con schiena diritta e braccia leggermente flesse ai gomiti: estendere le spalle adducendo le scapole ed estendere la testa (inspirando) e tornare alla posizione di partenza espirando.
3. Seduto con braccia lungo i fianchi: elevare dall’abduzione le spalle inspirando e riportare le braccia in basso espirando (a carico naturale o con i pesi tenuti con le mani o avvolti ai polsi).
4. Seduto con mani appoggiate sulle cosce: abdurre sul piano orizzontale le braccia estese ai gomiti, in rotazione esterna (palmo in alto), adducendo le scapole ed inspirando e riportarle in basso espirando.
5. Seduto con bastone tenuto a due mani: portare il bastone in alto flettendo le spalle (inspirando) e riportarlo in basso espirando; con e senza peso posto intorno al bastone.
6. Seduto su una sedia, braccia lungo i fianchi: flettere lateralmente il busto cercando di andare a toccare le dita in terra, senza alzare il bacino, flettersi avanti o indietro o cambiare posizione di partenza. Da una parte e dall’altra.
7. In piedi davanti al muro, molto vicini: “scaletta” con le mani al muro dall’altezza delle spalle ad estendere completamente i gomiti, mani in alto; la testa segue il movimento (si estende a fine movimento). Riportare in basso le braccia adducendo le scapole a fine arco di movimento.
8. Di schiena al muro (o alla spalliera) con braccia abdotte a 90°, flesse ai gomiti (90°) e in rotazione esterna: estendere le braccia in alto “strisciando” le braccia al muro e riportarle in basso.
9. In piedi in appoggio sui gomiti su un lettino rialzato o un piano abbastanza alto: con il ginocchio leggermente flesso estendere l’anca contraendo il gluteo e riportare in basso la gamba. Da una parte e dall’altra.
10. Supino sul lettino con gambe flesse in appoggio: retroversione del bacino contraendo gli addominali e i glutei e rilasciare.
11. Prono sul lettino con un cuscino sotto la parte inferiore dell’addome e le anche: sollevare la testa e le spalle tenendo gli arti superiori estesi.
12. Supino sul lettino con le gambe flesse in appoggio: sollevare la testa e le spalle.
Analisi statistica
Per l’analisi statistica è stato utilizzato il pacchetto statistico SPSS. Per tutte le variabili è stata calcolata la media e l’errore standard. Per i confronti dei valori basali tra i 3 differenti gruppi di gravità è stato utilizzato il test di Wilcoxon per campioni indipendenti per le variabili non parametriche e la analisi della varianza a una via per quelle parametriche. In questi confronti, le pazienti con postura flessa moderata e grave erano confrontati con quelle con postura flessa lieve.
Per la valutazione degli effetti dell’esercizio è stato utilizzato il test di Wilcoxon per campioni appaiati per le variabili non parametriche e l’analisi della varianza per misure ripetute per quelle parametriche. Per ciascun gruppo di partecipazione al programma di esercizio i dati del controllo dopo 12 mesi sono stati confrontati con quelli ottenuti nella valutazione di base.
RISULTATI
Delle 67 pazienti considerate in questo studio, 11 avevano avuto una partecipazione bassa (percentuale media delle presenze 11, 0+ 3), 20 media (percentuale media delle presenze 71,0+3) e 36 alta (percentuale media delle presenze 99,0+1). I 3 gruppi non mostravano differenze nelle variabili demografiche e antropometriche, nello stato di salute, nello stato cognitivo e nelle misure relative alla densità minerale ossea sia a livello lombare che del femore prossimale.
Anche per quanto riguarda le altre variabili studiate, relative alla gravità della postura flessa, dolore, forza muscolare e funzione motoria non erano presenti differenze nei valori di base tra i tre gruppi di partecipazione.
Dopo 12 mesi di esercizio solo le pazienti che avevano avuto una partecipazione alta presentavano una significativa riduzione della postura flessa come misurata della distanza occipite-muro (Balzini et al., 2003). Parallelamente nel solo gruppo delle partecipanti più assidue si osservava un aumento della forza muscolare in tutte le sedi considerate nello studio. Al contrario, nel gruppo delle pazienti che avevano presentato la partecipazione più bassa si osservava una riduzione della forza a livello dei muscoli estensori del ginocchio. Non c’erano differenze per le pazienti che avevano avuto una partecipazione media.
Il dolore era anch’esso migliorato a livello del rachide toracico nelle sole donne che avevano presentato la maggiore assiduità. Nelle partecipanti meno assidue si osservava invece un marcato peggioramento a livello del rachide cervicale. Non c’erano differenze per le pazienti che avevano avuto una partecipazione media.
Anche il Performance Oriented Mobility Assessment (Tinetti e Ginter, 1988) mostrava un lieve ma significativo miglioramento nel test di equilibrio nelle donne che avevano partecipato più assiduamente. Al contrario si osservava un lieve ma significativo peggioramento sia nel test del cammino che nel test di equilibrio nelle pazienti con partecipazione bassa. Anche in questo caso quelle con partecipazione moderata non mostravano differenze rispetto alla valutazione basale. Il gruppo di pazienti con partecipazione alta presentava un aumento della densità ossea sia a livello del femore prossimale (guadagno di circa 1%) che del rachide lombare (guadagno di circa il 3%). Al contrario quello con partecipazione bassa presentava una diminuzione di circa il 2,5% della massa ossea a livello del femore prossimale e di circa lo 0,5% a livello lombare. Infine il gruppo con partecipazione media presentava risultati intermedi in entrambe le sedi. L’analisi della varianza mostrava una differenza statisticamente significativa tra coloro che avevano avuto una partecipazione alta e quelli con una partecipazione bassa.
Delle pazienti studiate, 43 pazienti avevano assunto una terapia farmacologia per l’osteoporosi regolarmente, 8 in modo discontinuo e 16 non avevano assunto alcuna terapia. Le pazienti con partecipazione alta erano state anche più regolari nella assunzione della terapia farmacologia di quelle con partecipazione media o bassa. Infatti il 64% delle pazienti con partecipazione bassa non assumeva alcun farmaco per l’osteoporosi. Al contrario solo il 25% di quelle con partecipazione media e il 14% di quelle con partecipazione alta non aveva una terapia farmacologica. Tuttavia la regolarità nella assunzione della terapia farmacologia non si associava ad alcuna evidente modificazione delle misure di densità ossea.
DISCUSSIONE
I presenti dati confermano che l’esercizio fisico migliora la densità minerale ossea nelle donne postmenopausali e che questo miglioramento è associato alla partecipazione assidua delle pazienti. Confermano inoltre la nozione che uno stile di vita inattivo si associa ad un aggravamento della osteoporosi.
Questi risultati sono in linea con quanto riportato in letteratura sul miglioramento della densità minerale ossea a livello lombare. Studi precedenti hanno infatti dimostrato che vari tipi di programmi di esercizio aerobico, con carico o contro resistenza aumentano la massa ossea dell’1,79 (intervallo di confidenza 95%: 0,58-3,1%) (Bonaiuti et al., 2003).
I presenti risultati invece differiscono da studi precedenti per quanto riguarda il femore prossimale. Questi studi non hanno mostrato modificazioni con l’esercizio. Invece un miglioramento della massa ossea femorale dello 0,92% (intervallo di confidenza 95%: 0,21-1,64%) è stato osservato con un programma di cammino (Bonaiuti et al., 2003). La ragione di questa differenza non è chiara. Si può ipotizzare che un maggior effetto a livello del femore è stato ottenuto perché gli esercizi erano eseguiti in piedi e non semplicemente sdraiati come previsto da altri programmi. Inoltre non si può escludere che l’effetto non sia almeno in parte dovuto all’aumento dell’attività locomotoria imposto alle pazienti per raggiungere le palestre e per tornare a casa. Comunque la comprensione di questa osservazione richiede ulteriori studi.
E’ importante notare che i tre gruppi di partecipanti, sebbene abbiano presentato una differente adesione al programma di esercizio che era stato loro offerto, presentavano caratteristiche simili sia antropometriche che cliniche. Anche la densità minerale ossea femorale e lombare non presentava differenze nella valutazione basale. Questo ci porta a concludere che le differenze da noi osservate erano dovute al programma di esercizio e non ad altri fattori.
Si può obiettare inoltre che le pazienti con partecipazione alta erano state anche più regolari nella assunzione della terapia farmacologia di quelle con partecipazione media o bassa. Questo può essere un rilevante fattore di confondimento in quanto sono disponibili farmaci per l’osteoporosi la cui efficacia è stata chiaramente dimostrata (Bonaiuti et al., 2003). Tuttavia noi non abbiamo trovato nessuna differenza nella modificazione della massa ossea in associazione con la regolarità dell’assunzione della terapia farmacologia, mentre lo abbiamo trovato in associazione con l’assiduità di partecipazione al programma di esercizio. Fattori legati all’appropriatezza della terapia prescritta potrebbero dare una spiegazione di questa osservazione. Purtroppo i dati da noi raccolti non permettono di dare una risposta convincente. Ulteriori studi sulla relazione tra esercizio e terapia farmacologia sono pertanto necessari.
Anche altri risultati meritano di essere sottolineati. Questa tesi conferma che la postura flessa, il dolore, la forza muscolare e la funzione motoria migliorano con l’esercizio fisico. Tuttavia l’esercizio deve essere continuato in modo costante per ottenere effetti significativi. Questo si scontra con la difficoltà di mantenere l’adesione di molte pazienti al programma per lungo periodo. Una migliore conoscenza dei fattori che inducono l’abbandono o la riduzione della partecipazione potrebbe costituire la base per mettere in atto strategie adeguate, finalizzate alla fidelizzazione al programma di esercizio. A questo si sta rivolgendo la nostra attenzione nel proseguimento di questa ricerca.
In conclusione, i risultati di questa tesi confermano che il programma di esercizio fisico da noi proposto migliora il malallineamento posturale e le sue conseguenze e contribuisce a combattere l’indebolimento dell’osso sia a livello lombare che femorale. Per ottenere questi effetti è però necessaria una partecipazione costante e motivata.

 

articolo preso da FisioBrain scritto da

 Elena Fanfani
Diploma Universitario in Fisioterapia
Facoltà di Medicina e Chirurgia
Università degli Studi di Firenze

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